lunedì 13 maggio 2013

Fai bei sogni è la storia di un segreto celato in una busta per quarant'anni. La storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma, e il mostro più insidioso: il timore di vivere. Fai bei sogni è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra. Fai bei sogni è soprattutto un libro sulla verità e sulla paura di conoscerla. Immergendosi nella sofferenza e superandola, ci ricorda come sia sempre possibile buttarsi alle spalle la sfiducia per andare al di là dei nostri limiti. Massimo Gramellini ha raccolto gli slanci e le ferite di una vita priva del suo appiglio più solido. Una lotta incessante contro la solitudine, l'inadeguatezza e il senso di abbandono, raccontata con passione e delicata ironia. Il sofferto traguardo sarà la conquista dell'amore e di un'esistenza piena e autentica, che consentirà finalmente al protagonista di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo. Pur di non fare i conti con la realtà preferiamo convivere con la finzione, spacciando per autentiche le ricostruzioni ritoccate o distorte su cui basiamo la nostra visione del mondo. È incredibile come Massimo Gramellini renda bene i tormenti di una vita da orfano di madre. Quanti spunti per rileggere la propria esistenza. Sentimenti espressi con estrema delicatezza e indulgenza ma senza nascondere la durezza della vita. L'inizio è andata "bene": simpatizzavo, capivo, sentivo, ma riuscivo a mantenere un sano distacco. Poi, alla fine, il tutto è esploso. Il magone, le lacrime agli occhi, il dolore che mai scompare, con cui al limite ci si convive. Non ci è voluto molto a capire il motivo: la parte iniziale del libro narra del primo dolore, di quello lancinante, che ovatta i sensi, che abbatte e sostiene; ricordo bene quel dolore, ma è nel mio passato remoto. E' la seconda parte che mi ha steso. Un uomo ormai adulto che scopre che parte del suo passato è ben diverso da quel che credeva. Un uomo che scopre di essere diventato ciò che è anche per merito di ciò che gli è mancato, che si rende conto che se avesse avuto ciò che ha perso probabilmente non si sarebbe piaciuto tanto. Un uomo il cui padre l'ha amato "nonostante" quel che era e non "per" quel che era. Un uomo o una donna, in questo caso, che avrei potuto benissimo essere io. Parole che avrebbero potuto essere mie. Lacrime che erano mie. E' un libro sopravvalutato e un pò buonista, questo è certo, ma tocca delle corde che, per chi ha perso un genitore, riapre una voragine difficile da colmare. Una frase che mi è rimasta attaccata addosso e mi ha fatto riflettere molto è questa: “Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La più grande è non essere amati più. Nelle infatuazioni a senso unico l'oggetto del nostro amore si limita a negarci il suo. Ci toglie qualcosa che ci aveva dato solo nella nostra immaginazione. Ma quando un sentimento ricambiato cessa di esserlo, si interrompe brutalmente il flusso di un energia condivisa.” Se siete pronti alle lacrime, leggetelo

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